Molte croci nella sabbia
1992
Nella corsa all'Africa gli inglesi erano avvantaggiati dalle esperienze in India e alle Antille:
s'erano esposti a climi terribili, sapevano come trattare gli indigeni.
E infatti, il capitano George Francis Lyon, con Ritchie, riprese il filo interrotto da Hornemann, ma nemmeno gli riuscì di oltrepassare Fezzan e il suo compagno morì a Murzuch, proprio qui dove io ero.
Esito migliore ebbe la spedizione Walter Oudney, Hugh Clapperton e Dixon Denham fra il 1822 e il 1825: dopo aver marciato dal Fezzan verso sud, il gruppo raggiunse il lago Ciad: era un'insignificante violazione del Sahara, un piccolo passo in avanti.
Ma ci voleva altro, per una conoscenza generale.
Una conoscenza che avrebbe avuto toni tragici, poiché anche Clapperton morì e la strada dei bianchi sul deserto andava costellandosi di croci.
Sarebbe morto anche Gordon Laing, il quale, da Tripoli, attraversò il Sahara e riuscì a entrare a Timbuctu nel 1825.
Ufficiale del secondo reggimento delle Indie Orientali, instancabile marciatore, ha compiuto una grande impresa, ma a Timbuctu la sua vita non vale un soldo e infatti gliela tolgono i fanatici religiosi.
Per lui c'è una lapide sulla casa dove abitò.
Il deserto uccide; hanno scavato una tomba per James Richardson nel Bornu, un'altra per von Beurmann, una terza per Vogel.
Renè Cailliè, francese, è il più accorto degli esploratori del Vuoto, si prepara a esserlo con il minimo di rischio e allora si stanzia fra i Mauri del Senegal, impara l'arabo, se ne impadronisce; e intanto confeziona amuleti per le signore dei suoi ospiti; è un carattere strano, duttile.
Quando si sente pronto, parte in abiti egiziani, il viso cotto dal sole, i gesti e i modi di un uomo perfettamente africano.
Perciò gli riesce di giungere a Timbuctu il 20 aprile 1827: nessuno muove obiezioni e lui si può muovere a piacimento, ma trova una città in decadenza, il fasto di un tempo è dissolto.
"...Trovai che lo spettacolo che aveva sotto gli occhi non rispondeva per nulla alla mia attesa; io mi ero fatto della grandezza e della ricchezza di questa città un' idea tutta diversa; essa non offre, al contrario, al primo aspetto, che un ammasso di case di fango, mal costruite; in tutte le direzioni non si vedono che delle piane immense di sabbie in movimento, d'un bianco tendente al giallo, e della più grande aridità.
Il cielo, all'orizzonte, è d'un rosso pallido; tutto è triste nella natura, il più grande silenzio vi regna; e non si ode il canto di un solo uccello".
Quando torna in Europa attraversando il Sahara fino al Marocco, prima lo festeggiano, ma quando riferisce come stanno le cose a Timbuctu, ormai villaggio come tanti, i bianchi si risentono, non gli va di abbandonare un mito.
Cailliè viene messo da parte, come se la decadenza della "splendida Timboctu" fosse avvenuta per colpa sua.
Ma ormai, l'avventura sahariana dei bianchi è lanciata; l'Europa ha compreso ciò che gli Arabi sapevano da secoli: il Sahara non è un confine di fuoco, una barriera di sabbie fiammeggianti, bensì una strada, una via degli scambi con i paesi al di là del Vuoto.
E' il momento degli scienziati: geologi, naturalisti, botanici, topografi, paleontologi; e purtroppo anche degli eserciti colonialisti.
Si cercano le vie più logiche e brevi, si cercano i resti del passato umano sul deserto, si va a caccia di tutti i particolari della geomorfologia desertica, della flora, della fauna.
E il Sahara si rivela. Leopoldo Planet, nel 1850, compie la traversata del deserto occidentale; il capitano Vincent penetra nell'Adrar; Charles Eugène de Foucauld lascia la sua traccia in una vasta zona, diventa lui stesso una specie di nomade con la croce al petto, viene ucciso nel 1835 a Tamanrasset.
L'ostilità degli indigeni e tutt'altro che spenta.
A tentare di spegnerla ci pensano i francesi, dopo aver conquistato Algeri; si avviano sulle piste di Gerhard Rohlfs, di Gustav Nachtigal, di Erwin von Bary, di Oscar Lenz, ma ci vanno con le truppe e con le truppe tentano di realizzare gli studi del progetto Flatters per una ferrovia transhariana.
Ma i Tuaregh, maestri nell'imboscata, massacrano la colonna Flatters nel 1881.
Ci sarà la rappresaglia del comandante francese Lamy che muove un contingente di soldati, di cammelli e, siamo alla fine del secolo, infligge una sconfitta ai "guerrieri blu".
La forza bianca si afferma nel Sahara dopo le esplorazioni di Fernand Foureau, di Clergy de Saint-Lèger nell'Erg Chech, di Laperrine, un generale che lega al deserto la propria esistenza, del famoso comandante Tilho che fruga sasso per sasso il Tibesti.
Il mosaico si compone e a realizzarlo contribuiscono gli italiani con la Reale Società Geografica dell'Accademia Italia.
Dalla Tripolitania si spingono a indagare la geologia, il clima, l'idrografia: e le tappe sono Gadames, Gat, i massicci dell'Archenu, dell'Uweinat.
Gli egiziani si riservano la sezione orientale del Sahara con le esplorazioni di Hassanein Bey e del principe Kemal ed-Din Hussein.
La grande investigazione è nel complesso alla fine per quanto riguarda il compito di tutti gli studiosi al servizio della geografia.
Le porte del Sahara si spalancano invece per quella che sarà l'indagine del sottosuolo dove secondo Moravia "Ali Babà nasconde i propri tesori".
Che sono il petrolio, l'uranio, l'oro, i diamanti.
Allora questo meraviglioso Vuoto, questa monumentale personalità della natura deve accettare le deturpazioni umane, l'aggressione delle incastellature, degli scavi, degli oleodotti, dei trattori, dei bacini artificiali? E' vero, l'uomo ha bisogno di energia e la prende dov'è, senza complimenti per l'ambiente.
Ma il Sahara resta comunque Sahara: è troppo grande.
E' così grand e che l'uomo lo scalfisce appena.
E la bellezza che sorprese Cocteau rimane, continua a sedurre.
Ardito Desio, il grande geologo aduso al rigore dell'osservazione scientifica, parco di espressioni sentimentali, mi disse un giorno:
"Ho scritto tante relazioni e un libro sul Sahara. Non ho mai scritto delle mie commozioni sahariane. E laggiù mi creda, ogni emozione è violenta. L'autentica scoperta, anche dello studioso più tetragono, è la scoperta della natura sahariana. Quella millenaria, quella indistruttibile".
Io avrei partecipato volentieri a Ibrahim del mio sentire tante cose dentro l'anima.
Si viaggiava oltre Murzuch dove le carte Michelin non scrivono più "drinking water" fino a El Gatrun.
Io mi esaltavo e dimenticavo i rischi; il Targui si preoccupava di accertare che il camionista, precedendoci di qualche giorno, ci avesse lasciato la benzina dov'era necessario che fosse lasciata.
Un uomo sopravvive alla fame per giorni; sopravvive lungo tempo anche alla sete, anche se un po' meno. Se la benzina manca, se proprio nessuno viene a portarla, se nessuno l'ha messa dove ce n'è bisogno sulla pista, allora si può morire.
Il fatto è che io viaggiavo infatuato del Sahara, con la mia storia in testa e il fascino nel cuore.